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La nostra è una vita ‘liquida‘, costituzionalmente incapace di mantenere invariata la propria forma e seguire per lunghi tratti la stessa rotta. La vita ‘liquida’ è una successione ininterrotta di nuovi inizi ed è proprio per questo che le fini rapide e indolori, senza cui quei nuovi inizi sarebbero impensabili, tendono a rappresentare i momenti di massima sfida, i più insopportabili. Uno scotto da pagare in una società che non può mai star ferma e che, sospinta dall’orrore della scadenza, deve modernizzarsi o soccombere. Ciò che occorre fare è correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione. La vera posta in gioco è la salvezza (temporanea) dall’esclusione, con il suo timbro inconfondibile, l’acuta analisi sociologica di Bauman apre una nuova finestra sull’oggi per scandagliarne minacce e opportunità. La vita ‘liquida’ è precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza, con la paura di essere colti alla sprovvista, rimanere indietro, dimenticare le ‘date di scadenza’, perdere il momento della svolta e superare il punto di non ritorno. Ciò che conta è la velocità, non la durata.

Un attimo. In una società liquido-moderna gli individui non riescono a consolidare i loro risultati in proprietà durature: basta un attimo perché le attività si trasformino in passività, e le abilità in disabilità. Le situazioni in cui si opera e le
strategie formulate per operare in tali situazioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente.

Spezzare i legami. Gli atti di consumo hanno finalità chiare e durata definita. Lo stesso non si può dire delle interazioni umane, dal momento che ogni incontro lascia dietro di sé un sedimento di legame: un sedimento che si ispessisce nel tempo. L’interazione non ha una ‘fine naturale’. La fine può essere ottenuta solo artificialmente, ed è tutt’altro che ovvio chi debba decidere quando, dal momento che entrambe le parti sono al tempo stesso consumatori e oggetti di consumo, e la ‘sovranità del consumatore’ può essere rivendicata da tutte e due. E’ possibile spezzare il legame, rifiutare ulteriori interazioni, ma non senza un retrogusto amaro e un senso di colpa.

Esorcizzare la paura. Incapaci di rallentare il ritmo sbalorditivo del cambiamento, nonché di prevederne e controllarne la direzione, ci concentriamo su cose che possiamo, o che pensiamo di potere influenzare: cerchiamo di calcolare e minimizzare il rischio di cadere vittime dei pericoli indefinibili che questo mondo così opaco e il suo incerto futuro tengono in serbo. Siamo intenti a scoprire ‘i cinque sintomi della depressione’, o ad esorcizzare lo spettro della pressione alta, dello stress o dell’obesità. In altre parole, cerchiamo bersagli sostitutivi su cui scaricare l’eccesso di paura cui sono state tolte le vie naturali di sfogo, e ripieghiamo sulle elaborate precauzioni contro il fumo,
l’obesità, il fast food, il sesso senza protezione o l’esposizione al sole.

Sindrome consumista. La sindrome consumista cui la cultura contemporanea si è arresa è incentrata su un netto ripudio del valore del procrastinare, del precetto del ‘rinvio della soddisfazione’. Nella gerarchia ereditata dei valori riconosciuti la sindrome consumista ha detronizzato la durata. Ha collocato il valore della novità al posto di quello della permanenza. La cultura liquido-moderna non avverte più di essere una cultura dell’apprendimento e dell’accumulazione. Essa appare piuttosto come una cultura del disimpegno, della discontinuità e della dimenticanza.

Velocità. Nel mondo che ormai non esiste più, in cui il tempo si muoveva molto più lentamente, le persone cercavano di superare il penoso divario tra la pochezza di una vita breve e mortale e la ricchezza infinita dell’universo eterno attraverso le speranze di reincarnazione o di resurrezione. Nel nostro mondo, che non conosce né ammette limiti all’accelerazione, non è difficile rinunciare a quelle speranze. Se ci si sposta a sufficiente velocità, senza fermarsi a guardare indietro e a contare vincite e perdite, è possibile comprimere nella durata di una vita mortale un numero sempre maggiore di esistenze, forse tutte quelle che l’eternità potrebbe offrire.

Estraneità urbana. Fin dall’inizio le città sono state luoghi nei quali degli estranei vivono in stretta vicinanza pur rimanendo estranei. La loro compagnia è sempre inquietante perché le loro intenzioni, i loro modi di pensare e le loro reazioni alle situazioni condivise non sono noti, o comunque non
abbastanza. Un luogo dove si radunano estranei è un luogo di cronica e irriducibile imprevedibilità. In altri termini, gli estranei incarnano il rischio.

Figli. Avere figli è molto costoso. Nella nostra società dominata dal mercato ogni esigenza, desiderio o bisogno ha una targhetta con l’indicazione del prezzo. I figli non fanno eccezione. Avere un figlio è come farsi prendere in ostaggio dal destino o ipotecare il proprio futuro senza avere la minima idea di quanto tempo ci vorrà per riscattarlo. Il prezzo totale non è definito, gli obblighi non vengono spiegati, e non c’è alcuna garanzia ‘soddisfatti o rimborsati’ se il prodotto non ci piace. E’ in questo mondo che nascono e crescono i figli, è in questo mondo che essi dovranno farsi largo una volta cresciuti. I bambini osservano. E apprendono.”

(Zygmunt Bauman)